Nel vivace dibattito che si è verificato sulla proposta di bloccare i flussi degli immigrati - diventata notizia solo perché proveniente «da sinistra» - si sono susseguite apprezzabili riflessioni, banali ovvietà ammantate di buon senso e non poche provocazioni, tutte però accomunate dall'incapacità di offrire risposte concrete e credibili, dato che il problema dell'immigrazione rimane argomento difficile e che andrebbe «maneggiato con cura».
Se il giudizio sui nostri politici è mediamente alquanto severo, lo si deve in buona parte al fatto che troppi di questi si sono specializzati nel denunciare i problemi ed individuare i colpevoli, senza però riuscire a trovare le giuste risposte. D'altra parte quando manca la capacità concreta di risolvere i problemi, la demagogia rimane il principale strumento di governo politico. Perché non esistono risposte facili a problemi difficili, ed il problema del governo dell'immigrazione non fa eccezione. Ma perché si è verificato in Italia ed a Treviso un afflusso così imponente di immigrati in un periodo così breve? La risposta non è difficile: si è trattato dell'equilibrio tra due interessi, quello degli immigrati a stare meglio e quello degli italiani ad avere sufficiente mano d'opera per far funzionare le aziende e per la cura famigliare. Non si è trattato quindi del frutto di grandi decisioni politiche prese a Roma, ma di tante piccole decisioni prese ogni giorno nel territorio. I decreti flussi decisi dai vari governi sono sempre intervenuti a posteriori con la previsione di quantità di ingressi largamente inferiori a quelli verificatisi nella realtà. Le sanatorie che si sono susseguite nel tempo sono lì a confermarlo.
D'altra parte l'enfasi posta sulle dichiarazioni di rendere più difficile ogni nuovo ingresso è sempre stata finalizzata a rassicurare l'opinione pubblica che questo pretendeva. Ma ciò non poteva ovviamente risolvere il problema, che anzi è andato enormemente aumentando, guarda caso, proprio in quelle realtà, come Treviso, che politicamente avevano manifestato la maggiore contrarietà. Qualcuno dovrebbe quindi spiegarci perché tali decreti che non hanno mai nemmeno contenuto la crescita di questo fenomeno, dovrebbero ora diventare così miracolosi da poterla fermare, sia pur per un determinato periodo di tempo. Le aspettative vorrebbero che fosse così, ma la razionalità ci dice che ciò è impossibile.
Il«giro di vite» si arresterebbe quindi sulla soglia della mera dichiarazione verbale. Per chi teme un'immigrazione eccessiva c'è tuttavia una buona notizia: se le imprese e le famiglie italiane (perché sono loro i principali soggetti richiedenti!) a causa della crisi smettessero di richiedere nuovi ingressi di lavoratori immigrati, il fenomeno rallenterebbe enormemente. Se poi venissero disciplinate - queste sì - le richieste degli immigrati stessi in quanto datori di lavoro, ci sarebbe un'ulteriore significativa riduzione.
Tutto bene, dunque? Per niente. Io non penso che noi ci'salveremò dalla crisi dedicandoci solo agli immigrati già presenti nel nostro territorio. Quanti sono infatti quelli che attendono di essere regolarizzati? Dieci mila? Forse di più. Qualcosa, quindi, che corrisponde ad oltre 3 anni di normali decreti flussi: in altre parole, se bloccassimo i nuovi arrivi per 3 anni e regolarizzassimo quelli già presenti nella nostra Provincia otterremmo lo stesso identico risultato. Siamo quindi tornati al punto di partenza! Ecco perchè dobbiamo affrontare la questione direttamente in faccia senza alcuna possibilità di fuga: il problema non sono gli immigrati, ma siamo noi. Loro sono solo lo specchio di quello che noi siamo diventati.
Secondo il prof. Gianpiero Della Zuanna dell'Università di Padova, per evitare carenza di offerta di lavoro nel periodo 2008 - 2010 nel Veneto occorrerebbero 32.000 nuovi ingressi. Infatti, a causa del nostro andamento demografico, per ogni 130 persone che lasciano il lavoro ce ne sono solo 100 che le sostituiscono, senza contare che oggi pochi italiani sono disposto a fare alcuni particolari lavori. A questo processo di sostituzione è collegata in buona parte la possibilità di mantenere il nostro attuale livello di benessere.
Le 30 persone che mancano all'appello o vengono sostituite da persone (non solo braccia di lavoro!) immigrate, oppure il nostro sviluppo rallenterà, i costi per il welfare aumenteranno e le nostre famiglie si dovranno accollare gli oneri di un invecchiamento di massa con persone sempre più non autosufficienti. Rispondiamo a questo problema e la soluzione per l'immigrazione si troverà automaticamente. Ma, forse, questo è esattamente quello che nessuno vorrebbe sentirsi dire. (Pubblicato il 24 novembre sul Corriere del Veneto)
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