Ogni giorno sulle pagine dei giornali locali e nazionali leggiamo con sgomento la notizia della chiusura di qualche azienda o l’apertura della cassa integrazione per decine e decine di lavoratori. Ma quando appunto si legge di cassa integrazione è impossibile non pensare che sono in molti a non avere diritto a questo ammortizzatore sociale. È inutile chiudere gli occhi: il nostro Paese è meno attrezzato di altri a gestire le conseguenze di questa crisi dal momento che, per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali, è ancora legato all’idea fordista delle grandi fabbriche. Niente di più lontano dalla realtà, soprattutto in Veneto, dove la stragrande maggioranza delle aziende hanno meno di 15 dipendenti (che quindi non hanno accesso agli ammortizzatori sociali tradizionali) ai quali vanno ad aggiungersi tutti i lavoratori parasubordinati completamente esclusi da qualsiasi paracadute sociale. In Veneto, quindi, la riforma degli ammortizzatori sociali è più urgente e strategica rispetto ad altre regioni come ad esempio quelle del nordovest, dove un sistema produttivo centrato ancora sulle grandi fabbriche consente ai lavoratori di usufruire degli ammortizzatori sociali dai quali molti lavoratori veneti sono esclusi. Ci troviamo quindi davanti ad un rischio effettivo di impoverimento e, quindi, di esclusione sociale. Il nostro ritardo nel riformare gli ammortizzatori ha l’effetto di aggravare la crisi economica in atto: urge intraprendere immediatamente la strada seguita già da tempo dagli altri Paesi europei e attuare questa riforma per adattare il sistema di welfare al mutato assetto del mercato del lavoro in Italia. Sono pienamente d’accordo con Franca Porto, quindi, sulla necessità di costruire una “seria rete di protezione sociale e di accompagnamento verso una nuova occupazione per chi perde il lavoro” e di attuare finalmente quella flexsecurity prospettata da Marco Biagi come bilanciamento alle forme di lavoro flessibile ed elemento essenziale di tutte le ricette anticrisi più consolidate. Da troppo tempo si rimanda una riforma i cui benefici sono evidenti agli occhi di tutti, indipendentemente dallo schieramento politico, tanto che ci si domanda il perché della sua mancata attuazione. Sostegno alle famiglie e accompagnamento al reinserimento nel mondo del lavoro sono dunque interventi essenziali per affrontare la crisi, interventi che devono essere attuati tempestivamente mettendo in campo tutte le risorse possibili. Al di là del fatto che i 5 miliardi stanziati dal Governo per superare la crisi sono oggettivamente troppo pochi (si confrontino, a questo proposito, le misure anticrisi di altri Paesi europei come Germania, Spagna e Gran Bretagna) e che comunque la loro dispersione in “mille rivoli” ne attutisce l’efficacia, sappiamo che le risorse nazionali per il sostegno al reddito stanno scarseggiando, anche a causa del forte aumento della cassa integrazione. A questo punto dovrebbero quindi entrare in campo le Regioni alle quali, ad esempio, l’Unione europea può assegnare fondi per politiche attive di formazione finalizzate al superamento di situazioni di precarietà e al reinserimento nel mercato del lavoro. Gli strumenti ci sono, ma per poterli utilizzare è necessario prendere atto del cambiamento strutturale operato nel mercato del lavoro negli ultimi dieci anni e costruire una riforma seria ed efficace. Solo così la crisi potrà diventare un’occasione per migliorare il Paese. |