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03/02/2009
Treviso

Non è un patto (di stabilità) ma una condanna (alla paralisi)
di Claudio Miotto, Presidente Confartigianato del Veneto


Senza scomodare considerazioni di macroeconomia, senza ritenere di aver inventato nulla, basta semplicemente andare un po’ indietro nel tempo e appellarsi a qualche considerazione basata più sul buon senso (e sull’ovvietà), sulla “lezione della storia”, che non su sofisticate strategie politiche.
Nei momenti di difficoltà, quando, allora, un’annata difficile metteva in crisi le fonti decisive dell’economia locale, che erano prevalentemente quelle derivanti dal lavoro dei campi, lo Stato, ma soprattutto i Comuni, intervenivano creando lavoro e reddito per le famiglie, per quanti si trovavano in momentanea difficoltà.
Ci sono pagine e pagine di storia patria che narrano tutto questo. Allora, magari si rinforzavano gli argini, si costruivano strade, si bonificavano territori, comunque si creava occasione di sopravvivenza.
Oggi questa lezione (storicamente provata) sembra essere del tutto dimenticata o quanto meno trascurata. Per un motivo molto semplice: i Comuni, gli enti locali in genere, vengono ritenuti non idonei a sostenere l’economia di casa. Sono bloccati, vincolati, in nome di una stabilità cieca, che non guarda in faccia nessuno, nemmeno quelli che hanno buoni motivi per non abbassare gli occhi per la vergogna di essere stati poco morigerati. E’, politicamente parlando, una (ulteriore) grave mortificazione per gli amministratori locali, soprattutto per quelli virtuosi.
Qualche dato può aiutarci a capire meglio la vastità e la consistenza del problema.
Da nostre stime sulle analisi Cresme dei “Programmi triennali delle opere pubbliche allegati ai bilanci comunali” emerge che i Comuni veneti, nel triennio 2007-2009, hanno programmato di investire tra gli 8 e i 9 miliardi di Euro in opere pubbliche. Sono buone intenzioni, che tuttavia avranno un riscontro assolutamente più modesto: nella migliore delle ipotesi si investiranno in tutto meno di 6 miliardi di Euro. Vale a dire che le opportunità di investimento, quindi di creare lavoro, saranno decurtate di circa il trentacinque per cento. Si tratta di una palese ingiustizia, di un’incoerenza, dell’affermazione di un patto di stabilità che diventa una condanna alla paralisi.
Questa situazione, paradossale e iniqua, ha come conseguenza tre pesanti ripercussioni.
La prima. L’impossibilità dei Comuni di adeguare servizi ed opere pubbliche alle necessità della comunità. Una situazione insopportabile, che crea insoddisfazione (e poca fiducia) da parte dei cittadini e una palese frustrazione nell’operato degli amministratori locali. E’ terribile dover amministrare con le mani legate, è logorante non poter spendere i soldi che si hanno a disposizione, frutto di un buon governo delle risorse. Perché un paese, un Comune, non può far fruttare ciò che ha? Una risposta seria e motivata non esiste.
La seconda. In questo modo si priva l’economia locale (e non solo) di un decisivo volano di crescita (se non di sopravvivenza), in un momento globalmente difficile. Tutto ciò è ancora più pesante in realtà come il Veneto, in cui i settori dei lavori pubblici e dell’edilizia sono stati negli ultimi anni un motore forte nel traino per la creazione di benessere.
La terza. Alla soglia del centocinquantenario dell’unità d’Italia, ci rammarica che non si perda occasione per legiferare come se il nostro Paese fosse ancora diviso: Roma trattata in modo diverso da Venezia come le regioni a statuto speciale privilegiate rispetto a tutte le altre.
Che dire? Semplicemente che come artigiani, come segmento forte e significativo dell’economia locale, tutto questo ci pare assolutamente insopportabile. Inutile sottolineare che siamo dalla parte dei Sindaci, ma soprattutto siamo apertamente schierati con le comunità locali, delle quali da sempre siamo parte responsabile.
Un’ultima considerazione, che può perfino sembrare maliziosa. Da più parti, a livello nazionale, si indica nell’avvio delle “grandi opere” uno degli elementi forti per la sognata ripresa. Nulla da dire. Soltanto non vorremmo che questa fosse una via e un’opportunità riservata soltanto a pochi protagonisti e a qualche subalterno. La maggior parte degli artigiani ha una dimensione e una vocazione sociale strettamente legata all’ambito locale: su questo attendiamo risposte e iniziative, e non soltanto una demoralizzante condanna alla paralisi.


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