Che la terra sia lieve su Eluana. Tutti ci inchiniamo commossi verso di lei, giovane donna condannata a un tragico destino, e verso il padre che ha portato per lunghi anni il peso del dolore, dell'incomprensione, dell'ostilità. La storia di Eluana e del suo indomito padre, al quale solo uno sconfinato amore poteva dare la forza che ha dimostrato, ci ha toccato nel profondo e sarà duratura nella memoria perché è una tragedia «comune»: poteva e potrebbe capitare nella nostra famiglia e metterci alla prova; ed è un'angoscia insopportabile il solo pensarci. Ma è doveroso pensarci. E' un obbligo morale di tutti noi - verso noi stessi e verso gli altri - fare in modo che in simili terribili circostanze mai più ci siano in Italia le lacerazioni, le accuse, le cattiverie, forse anche le strumentalizzazioni politiche, che hanno accompagnato questa dolorosissima vicenda a causa del vuoto legislativo sulla fine della vita. Se c'è un modo di rendere omaggio nei fatti a Eluana, questo sta in una legge equilibrata sul testamento biologico. Da anni la si attende e se ne discute. Ora forse il Parlamento - per la commozione, la consapevolezza e forse anche la vergogna per il tempo perso - riuscirà a crearla. Non è saggio deliberare in questa materia per stralci. E' bene avere in mente tutti i dilemmi morali e giuridici che la questione solleva, e dare un'interpretazione compiuta e coerente all'articolo 32 della Costituzione, un testo che si è dimostrato di straordinaria lungimiranza. Esso conferisce alla persona il diritto di rifiutare un trattamento sanitario che non sia imposto per legge e al contempo impone alla legge di non violare mai i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Nel disegno di legge, purtroppo, non si ravvisa questo rispetto, che è il fondamento primo dello stato liberale. E' bene che anche i suoi promotori, i molti tra loro che in buona fede posponevano l'analisi giuridica alla necessità di intervenire subito e comunque per salvare Eluana, se ne rendano conto. La norma proposta parla infatti di non autosufficienti. Non parla di persone incapaci di intendere o volere. Immaginiamo che al posto di Eluana Englaro ci fosse Welby, che con piena lucidità chiese fino alla fine di essere liberato dal suo corpo che «lo sequestrava in una prigione infame». La sua richiesta non sarebbe esaudibile se passasse il ddl. E immaginiamo di avere espresso noi stessi in forma indubitabile la volontà di non essere alimentati se il destino ci riservasse la sorte di Eluana, senza quindi i dubbi che molti avevano avanzato sul caso specifico. Di nuovo, la volontà non avrebbe seguito. Se si tratta solo di alimentazione e idratazione, insomma, la volontà di ciascuno di noi, espressa dopo o prima dell'evento che ha generato la non autosufficienza, diventa ininfluente. Il nostro corpo diventa allora un «oggetto» su cui non vale più la nostra volontà ma vale la legge, che impone alla nostra mente di continuare a vivere in quel corpo, anche se per noi è diventato «una prigione infame»: non basta questo per denunciare il contrasto tra il ddl e l'articolo 32 della Costituzione, che impone alla legge di rispettare la persona umana? Se la maggioranza vuole andare avanti per la scorciatoia di questo ddl, allora accetti almeno una correzione, pensando appunto a Welby che ha meritato la pietas degli italiani non meno di Eluana. La correzione consiste nell'applicare la norma sull'obbligo di idratazione e alimentazione dell'assistito non autosufficiente solo quando manchi una sua esplicita volontà contraria. E' una correzione che la Costituzione pretende per «rispetto della persona umana». Non concludiamo miseramente con una prova di forza politica una tragica vicenda che oggi ci accomuna tutti nel dolore e che deve suggerirci di cercare tutti insieme una buona legge. |