Trascorsi un po’ di giorni dal voto, mi auguro che si possa aprire al più presto nelle sedi di partito un serio dibattito sul risultato delle recenti elezioni. Risultato a mio giudizio pesantemente negativo, se confrontato con il voto alle politiche del 2008 (il Pd passa dal 33,2% del 2008 al 26,13% di quest’anno, in Veneto dal 26,5% all’ attuale 20,29%). Questa disfatta è ulteriormente aggravata dal risultato particolarmente preoccupante registrato alle elezioni amministrative che tradizionalmente costituivano una sorta di piccola rivincita per il centrosinistra. Il Pd, che rappresentava pochi mesi fa un terzo degli elettori italiani, oggi ne “prende” un quarto, i veneti che sceglievano Pd erano un quarto e diventano un quinto. Siamo il terzo partito dopo Lega e Pdl in cinque province su sette. La marginalità politica non è più solo un rischio, è la pura realtà in ampi territori del Veneto e del Nord.
Ritengo che questo risultato meriti una valutazione seria e responsabile da parte di tutti: alcune prime considerazioni, mi auguro dettate dall’impulsività tipica dei giudizi a caldo, sono state o banalmente consolatorie (“poteva andare peggio”, “invertita la tendenza”) o, più gravemente, improntati alla solita tecnica dello scaricabarile (“colpa di Roma”, “colpa di Tizio”, “colpa di Caio”). Un’analisi a mio parere puerile e controproducente che non è utile a nessuno. Appare evidente che, dopo l’impressionante smottamento di voti di Centrosinistra verso il Centro che ha caratterizzato le elezioni politiche del 2008, (smottamento reso meno evidente solo dall’afflusso di “voto utile” proveniente da sinistra), con queste ultime elezioni abbiamo assistito ad un ulteriore dissanguamento del Pd che questa volta si è rivolto in tutte le direzioni: verso Di Pietro, verso i Radicali, verso l’UDC, in misura imponente verso l’astensionismo e, soprattutto in Veneto, verso la Lega sentita, a torto o a ragione, come l’unico soggetto politico in grado di contrastare lo strapotere di Berlusconi.
Parole e analisi che tendano ad ostacolare la piena consapevolezza di questa situazione sono nocive per il partito, forse ancora più nocive del risultato delle elezioni, perché se è brutto perdere, far finta di non sapere il perché è diabolico… Un serio dibattito nelle sedi di partito però rischia di non svolgersi mai perché, par di capire dai giornali, anziché cercare di comprendere cosa è successo, il PD sembra ormai completamente assorbito dalle dinamiche (e dai conflitti) congressuali. Anche per questo non posso far a meno di pormi una domanda: ma abbiamo lavorato anni per rendere possibile il sogno di un Partito davvero nuovo, accettando e rendendo possibile una sfida che molti davano per impossibile …solo per rimettere in scena il duello tra D’Alema e Veltroni? Chi può credere che questo è un partito nuovo? Possibile che non ci si renda conto che la lettura dall’esterno di tale scontro provoca effetti devastanti? A chi possono interessare queste tematiche se non ai pochi e ormai anziani militanti che hanno memoria dì un conflitto tra leader iniziato 20 anni fa nel PCI? Sono convinto che ai nostri, pochi, elettori attuali e ai nostri, molti, elettori potenziali interessi tutt’altro. A cosa serve un congresso di partito se non a definire una strategia per conquistare nuovi consensi nel Paese? E la scelta della leadership non dovrebbe essere coerente a tale strategia? Parlano di questo le contrapposte candidature di Franceschini e Bersani? No, parlano d’altro. In modo particolare in Veneto e al Nord, un PD impegnato per i prossimi sei mesi in un grottesco duello all’ultimo sangue sui nomi dei candidsati e sulle cordate che riescono ad assemblare metterebbe definitivamente fuori da qualsiasi mercato politico la sua flebile proposta.
Non sarebbe meglio invece che Veneto, Lombardia, Piemonte e le altre regioni del Nord dicessero una cosa semplice e chiara? “Non siamo né con Il PD di D’Alema né con quello di Veltroni: siamo per un PD capace di tirar fuori la testa da sotto la sabbia e di lavorare ad un solo obiettivo, la conquista degli elettori del Nord. La sola cosa che serve davvero al Pd oggi, a tutto il PD nazionale, è questa.” Perché, come ho disperatamente e invano cercato di far capire a Rutelli e agli altri dirigenti quando ero segretario della Margherita nel Veneto, proporsi agli elettori per governare il Paese essendo minoranza trascurabile nella parte più avanzata ed europea dell’Italia è semplicemente velleitario e irrealistico. Il PD diventerà una credibile forza di governo solo quando avrà affrontato e risolto seriamente la questione “Nord”. Magari spostando subito la sede del partito a Milano. Questa scelta, da sola, varrebbe più di mille parole, di mille manifesti, di mille spot. Servirebbe a dire: “abbiamo capito, si cambia davvero”.
C’è questa consapevolezza nel duello che si sta prospettando? Francamente no. Abbiamo la forza per portarla noi militanti e dirigenti del Pd del Nord insieme, anziché dilaniati tra gli amici di D’Alema e quelli di Veltroni? Non lo so. Ma mi pare l’unica battaglia che valga davvero la pena di combattere. Non per il Veneto, non per il Nord ma per il Partito Democratico e per l’Italia. |