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23/07/2009
Corriere del Veneto

Nuovo welfare, i passi necessari.
di Maurizio Ferrara


Con il decreto anti­crisi il governo si appresta a com­piere due nuovi passi sul tortuoso sentiero della «ricalibratura» del welfare. Entrambi i passi riguardano il sistema pen­sionistico, un settore per il quale l'Italia spende più degli altri Paesi europei e che è caratterizzato da nu­merose sperequazioni ca­tegoriali. L'età di pensiona­mento delle dipendenti pubbliche verrà progressi­vamente elevata da 60 a 65 anni (come quella degli uomini), così come stabili­to dalla Corte di giustizia europea. A partire dal 2015 i requisiti anagrafici per l'accesso alla pensione ver­ranno periodicamente ade­guati all'incremento della speranza di vita: se gli ita­liani (uomini e donne) vi­vranno più a lungo, an­dranno in pensione un po' più tardi.

Le due misure non avranno un grande impat­to finanziario ma introdu­cono due promettenti in­novazioni istituzionali. Le risorse risparmiate dovran­no essere usate «per inter­venti dedicati a politiche sociali e familiari, con par­ticolare attenzione alla non autosufficienza». E' forse la prima volta che si istituisce un collegamento diretto e formale tra una «sottrazione» in campo pensionistico e una «addi­zione » nel campo dell'assi­stenza e dei servizi alle per­sone. L'impegno sarà ri­spettato? Le risorse saran­no sufficienti per promuo­vere efficaci politiche di conciliazione a favore del­le donne? Per quanto leci­te e giustificate, queste do­mande nulla tolgono al ca­rattere innovativo del prov­vedimento e al suo tentati­vo di operare una ricalibra­tura virtuosa fra comparti di spesa e rischi del ciclo di vita.

L'adeguamento genera­lizzato dell'età pensionabi­le, dal canto suo, avverrà in base a un meccanismo quasi automatico, basato sui dati Istat relativi alla speranza di vita. Anche qui si tratta di un'innova­zione promettente. Nella riforma Dini le procedure di revisione della formula pensionistica in base agli andamenti demografici erano state definite in ma­niera molto lasca, lascian­do troppo spazio alle con­trattazioni e ai veti politi­co- sindacali. Il governo Prodi aveva già introdotto regole più stringenti. Ora la soglia d'età sarà sogget­ta a revisioni periodiche, graduali ma semi-automa­tiche, come già accade in numerosi Paesi Ocse.

E' giusto stabilire requi­siti anagrafici uguali per tutti i lavoratori, senza te­ner conto dei lavori usu­ranti, della crescente diffu­sione di carriere spezzetta­te a seguito di contratti «precari»? Non sarebbe meglio tornare alla logica del pensionamento flessi­bile prevista dalla riforma Dini? Anche queste sono domande lecite e giustifi­cate. Nessun sistema previ­denziale può però esimer­si dall'avere un'età pensio­nabile «di riferimento», in base alla quale valutare poi l'introduzione di even­tuali deroghe. Dato il co­stante innalzamento della speranza di vita, è opportu­no che questa soglia ana­grafica venga periodica­mente modificata.

In questi giorni il decre­to anticrisi dovrà essere ap­provato dal Parlamento. Se è irrealistico immagina­re un qualche accordo bi­partisan , vi sono però le condizioni perché i conte­nuti e i toni del confronto politico sulla previdenza si mantengano su un pia­no di ragionevolezza co­struttiva. L'adozione di re­gole generali e trasparen­ti, il più possibile riparate da pressioni politiche di questa o quella parte, è il miglior modo per garanti­re l'equità, sia fra catego­rie sia fra generazioni.


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