Con il decreto anticrisi il governo si appresta a compiere due nuovi passi sul tortuoso sentiero della «ricalibratura» del welfare. Entrambi i passi riguardano il sistema pensionistico, un settore per il quale l'Italia spende più degli altri Paesi europei e che è caratterizzato da numerose sperequazioni categoriali. L'età di pensionamento delle dipendenti pubbliche verrà progressivamente elevata da 60 a 65 anni (come quella degli uomini), così come stabilito dalla Corte di giustizia europea. A partire dal 2015 i requisiti anagrafici per l'accesso alla pensione verranno periodicamente adeguati all'incremento della speranza di vita: se gli italiani (uomini e donne) vivranno più a lungo, andranno in pensione un po' più tardi.
Le due misure non avranno un grande impatto finanziario ma introducono due promettenti innovazioni istituzionali. Le risorse risparmiate dovranno essere usate «per interventi dedicati a politiche sociali e familiari, con particolare attenzione alla non autosufficienza». E' forse la prima volta che si istituisce un collegamento diretto e formale tra una «sottrazione» in campo pensionistico e una «addizione » nel campo dell'assistenza e dei servizi alle persone. L'impegno sarà rispettato? Le risorse saranno sufficienti per promuovere efficaci politiche di conciliazione a favore delle donne? Per quanto lecite e giustificate, queste domande nulla tolgono al carattere innovativo del provvedimento e al suo tentativo di operare una ricalibratura virtuosa fra comparti di spesa e rischi del ciclo di vita.
L'adeguamento generalizzato dell'età pensionabile, dal canto suo, avverrà in base a un meccanismo quasi automatico, basato sui dati Istat relativi alla speranza di vita. Anche qui si tratta di un'innovazione promettente. Nella riforma Dini le procedure di revisione della formula pensionistica in base agli andamenti demografici erano state definite in maniera molto lasca, lasciando troppo spazio alle contrattazioni e ai veti politico- sindacali. Il governo Prodi aveva già introdotto regole più stringenti. Ora la soglia d'età sarà soggetta a revisioni periodiche, graduali ma semi-automatiche, come già accade in numerosi Paesi Ocse.
E' giusto stabilire requisiti anagrafici uguali per tutti i lavoratori, senza tener conto dei lavori usuranti, della crescente diffusione di carriere spezzettate a seguito di contratti «precari»? Non sarebbe meglio tornare alla logica del pensionamento flessibile prevista dalla riforma Dini? Anche queste sono domande lecite e giustificate. Nessun sistema previdenziale può però esimersi dall'avere un'età pensionabile «di riferimento», in base alla quale valutare poi l'introduzione di eventuali deroghe. Dato il costante innalzamento della speranza di vita, è opportuno che questa soglia anagrafica venga periodicamente modificata.
In questi giorni il decreto anticrisi dovrà essere approvato dal Parlamento. Se è irrealistico immaginare un qualche accordo bipartisan , vi sono però le condizioni perché i contenuti e i toni del confronto politico sulla previdenza si mantengano su un piano di ragionevolezza costruttiva. L'adozione di regole generali e trasparenti, il più possibile riparate da pressioni politiche di questa o quella parte, è il miglior modo per garantire l'equità, sia fra categorie sia fra generazioni. |