La Seconda Repubblica — e il bipolarismo che ne è l’asse portante — hanno sempre avuto molti avversari. Avversari aperti e coerenti, soprattutto tra gli ex democristiani che oggi si raccolgono nell’Udc. E anche avversari meno espliciti, che per convenienza si sono adattati al nuovo regime: molti ex socialisti ed ex democristiani all’interno del Pdl e molti ex comunisti ed ex democristiani all’interno del Pd. Si sono adattati, ma non ci credono: non credono che un sistema politico, il quale conduce a un «o di qua/o di là», alla designazione implicita ma chiara del capo del governo da parte degli elettori, sia adatto a un Paese di guelfi e ghibellini com’è il nostro, a un Paese i cui cittadini sono più esposti che altrove (ma è poi vero?) a ventate populistiche.
Chi oggi sulla base delle recenti vicende che hanno riguardato il nostro presidente del Consiglio — soprattutto delle sue reazioni alle sentenze della Corte costituzionale e del tribunale di Milano — parla di «emergenza democratica» erode il consenso per i fondamenti della Seconda Repubblica che sinora è stato prevalente. Se veramente si tratta di emergenza democratica, se veramente siamo alle soglie di un regime autoritario, allora l’attuale impianto bipolare del nostro sistema politico diviene un lusso che un sostenitore di una buona democrazia non si può concedere. L’apparente sillogismo è questo: Berlusconi è un pericolo per la democrazia; il bipolarismo porta Berlusconi a prevalere nel confronto elettorale. Conseguenza normativa: eliminiamo il bipolarismo e torniamo alla Prima Repubblica, a una rappresentanza puramente proporzionale, a governi fatti e disfatti in Parlamento nel corso della legislatura.
Personalmente non credo ai primi due passaggi di questo pseudosillogismo e, di conseguenza, alle sue conclusioni. Non credo che Berlusconi sia oggi un pericolo per la democrazia, se uno ragiona un poco sulle circostanze storiche nelle quali la democrazia è stata o può essere in pericolo. Credo invece che il nostro presidente del Consiglio, per i suoi conflitti di interesse e per le sue concezioni aziendalistiche e, diciamo così, un po’ spicce di come si governa, non sia adatto a manovrare correttamente i delicati meccanismi di una democrazia costituzionale. E non credo che una logica bipolare conduca a una inevitabile prevalenza elettorale di Berlusconi o, più in generale, del centrodestra. Ma dove sta scritto? La sinistra ha appena vinto in Grecia e in Portogallo anche se, in questa fase storica, sono più numerose le sconfitte delle vittorie. Ma ciò avviene perché essa non trova un messaggio vincente da presentare agli elettori: quando lo troverà, tornerà al governo.
Un poco come conseguenza di questo clima emergenziale, un poco per altri motivi, il sostegno che il Pd (e in precedenza l’Ulivo) aveva sempre dato al bipolarismo è oggi fortemente a rischio: è a rischio dopo la vittoria di Bersani e il buon successo di Marino nel congresso open air che si è appena concluso. Marino sembra che condivida il clima di emergenza che ho prima descritto. Bersani, che probabilmente non lo condivide, è un buon politico che ha come obiettivo prevalente quello che i segretari di partito di solito hanno: sconfiggere il più rapidamente possibile l’avversario. Se ritiene, come mi sembra ritenga, che la via più breve sia quella di concedere all’Udc un sistema elettorale alla tedesca in cambio di una alleanza vincente, nulla lo tratterrà dal concederla. Ed è possibile che la stessa maggiore probabilità di questa concessione già anticipi un fenomeno che si produrrebbe inevitabilmente se e quando il proporzionale venisse introdotto: il convergere verso l’Udc di coloro che si trovano a disagio in un Pd bersaniano (Rutelli?) o in un Pdl berlusconiano.
Se al clima emergenziale e alla vittoria di Bersani nel congresso del Pd aggiungiamo le tensioni interne al Pdl, forse non è avventato pensare che la Seconda Repubblica abbia, se non i giorni, gli anni contati. |