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20/11/2009
Venezia

Riforme e consenso


Fare le riforme necessarie alla modernizzazione e al rilancio della capacità competitiva è più difficile in Italia che altrove. Per molti motivi: differenziale socioeconomico tra Nord e Sud, peso dell’assistenzialismo, maggior esposizione della politica alla tentazione populista, ecc.
Il risultato è che le riforme, per quanto urgenti, necessarie e spesso ampiamente condivise dalla maggioranza delle forze politiche di entrambi gli schieramenti, non sono mai state popolari. E conseguentemente, un sistema politico fragile e poco autorevole come il nostro, stenta a procedere sia quando vince la destra che quando governa il centrosinistra.
E’ per questo che considero di enorme importanza il patrimonio di consenso popolare che il ministro Brunetta è riuscito a creare attorno all’idea (solo idea per il momento) di una riforma che dia efficienza e modernità alla pubblica amministrazione. E nel contempo riterrei criminale che questo elevatissimo consenso non venisse opportunamente utilizzato per realizzare davvero una riforma che sia strutturale e non puramente mediatica. Purtroppo Brunetta dovra' scontrarsi nel suo Governo con populisti e assistenzialisti che ostacoleranno in ogni modo questa  missione. Non sarà facile, ma la responsabilità che gli ha conferito l’efficace campagna comunicativa sui fannulloni è troppo grande perché possa essere sprecata l’occasione di una riforma che sia insieme strutturale, moderna e popolare.
Fino ad oggi i molti tentativi sono stati bloccati da interessi corporativi e/o politici, oppure sono stati talmente denigrati dal punto di vista mediatico dal farne passare in secondo piano i benefici. Penso alla riforma dei servizi pubblici locali proposta da Linda Lanzillotta, che subi' una resistenza trasversale dei partiti per nulla disposti a rinunciare alla rendita di sottogoverno che l’attuale sistema garantisce a danno del contribuente. E penso alle liberalizzazioni volute da Bersani quando era ministro per lo Sviluppo economico (farmaci meno cari grazie alla vendita nei supermercati, eliminazione della “tassa” sulle carte ricaricabili delle compagnie telefoniche, obbligo per la banca di comunicare al cliente le variazioni al contratto del conto corrente, eliminazione delle penali per chi chiude un conto corrente, abolizione dell'obbligo dell'atto notarile nel caso di passaggio di proprietà di automobili, moto e barche, ecc.). Un pacchetto di riforme giustissime, che andava nella direzione della liberalizzazione dei mercati ma che ha sollevato le voci di protesta dei pochi che a causa del decreto hanno perso i loro privilegi, mentre è stata afona od inespressa la soddisfazione di coloro, moltissimi, che tali “benefici” hanno ottenuto.
A titolo puramente esemplificativo voglio suggerire al ministro Brunetta alcuni interventi “strutturali” su cui sfidare davvero la sua maggioranza e anche l’opposizione.
Il pesce puzza sempre dalla testa: è pertanto essenziale sottrarre alla lottizzazione politica la nomina dei dirigenti pubblici e condurla ad un moderno sistema di selezione per merito (dallo spoil sistem al merit system). Pensiamo solo al nostro sistema sanitario e a quale enorme giovamento esso potrebbe avere se, in virtù di una norma generale o di un solido patto bipartisan, tutte le nomine dei direttori generali delle Aziende sanitarie, dopo le prossime elezioni regionali, fossero nominati esclusivamente sulla base delle capacità e dell’esperienza professionale acquisita. Adeguati sistemi di selezione sono ampiamente collaudati in moltissime parti del mondo, basta copiare.
Fissare un termine perentorio (da tre a cinque anni) entro cui i piccoli Comuni devono accorparsi fino a raggiungere una dimensione non inferiore ai 15 mila abitanti, pena l’intervento commissariale ad acta.
Fissare per legge un numero massimo di dipendenti pubblici per abitante, da raggiungere in un periodo di 6/7 anni, tassativamente invalicabile per le principali funzioni erogate dalla Pubblica Amminitrazione. Sappiamo, infatti, che ci sono regioni che erogano servizi migliori con la meta' dei dipendenti di altre, a parita' di abitanti, che ci sono comuni che funzionano bene con un terzo dei dipendenti di altri, ecc. Molto spesso, nei servizi pubblici essenziali (scuola, sanità, sicurezza) vale la regola che i sistemi territoriali che più spendono sono anche quelli che erogano il servizio più scadente.
Perché gli uffici pubblici che svolgono attività di sportello devono essere aperti solo e soltanto nelle ore in cui la stragrande maggioranza degli utenti lavora? Perché non introdurre progressivamente l’obbligo di aprire i servizi di sportello, almeno due-tre volte la settimana in orario 17,00-21,00?
Ben vengano dunque trasparenza, contrasto all'assenteismo, l'introduzione di piu' aspri procedimenti disciplinari, ma ricordiamoci che i “fannulloni” sono l'espressione di  problemi ben piu' profondi e radicati come l’organizzazione dissennata di uffici e procedure, l’inettitudine e l’inamovibilità di alcuni dirigenti, decenni e decenni di lottizzazione politica, sovradimensionamento degli organici.
Ecco in sintesi le ragioni del mio incitamento (e delle modeste proposte) tese a far sì che il fenomeno “fanulloni” non diventi l’ennesima occasione perduta.

 
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