La maggioranza ascolta, poco e svogliatamente, le ragioni dell’opposizione, poi fa pulizia anche al proprio interno e blinda il testo, con il voto di fiducia. Nel frattempo sono arrivate alcune entrate dallo scudo fiscale: denaro inquinato che proviene da un vergognoso condono fiscale, ha giustamente dichiarato Bersani; ma beneaccetto, turandosi il naso, per chi aspetta un aiuto. Ciò ha consentito al disegno di legge di abbandonare l’esile dimensione iniziale (meno di 3 miliardi) e di gonfiarsi a circa 9 miliardi.
Manovra non pesante, quindi, ma non irrilevante. Tanto più che da essa sono stati tolti gli incentivi per l’auto, gli elettrodomestici e i pc, nonché gli sgravi fiscali per le banche che hanno aderito alla moratoria sui debiti alle piccole imprese: tutte misure che probabilmente saranno contenute in un decreto legge a gennaio (mantenendo così aperto il confronto del governo con la Fiat e soprattutto con le banche, su cui pesa il giudizio di Brunetta contrario agli sgravi).
Cosa c’è, allora, nella Finanziaria? C’è qualche soldo in più per la sanità, cui fa da doveroso contrappeso l’aumento delle aliquote fiscali regionali per le Regioni che sforano le soglie d’indebitamento e non rispettano il piano di rientro. C’è il pacchetto Sacconi: potenziamento dei sussidi ai collaboratori che perdono il lavoro, premio alle agenzie che ricollocano i cassintegrati, proroga della cassa integrazione in deroga. C’è il credito d’imposta alla ricerca. C’è la Banca del Sud. Ci sono cento milioni per la sicurezza, meno della metà di quanto chiesto dai poliziotti, che rimangono molto irritati.
Insomma, quello che c’è dal lato della spesa, va tutto bene, con qualche dubbio per la Banca del Sud. Il problema è quello che non c’è. Non c’è neanche il tentativo di configurare una manovra antirecessiva di un qualche vigore. E’ la conferma che nel governo ha vinto Tremonti contro i suoi stessi compagni di partito della linea Baldassarri. Perciò, nessuna forte manovra espansiva: si controlla l’indebitamento e si tappano alla meglio i buchi maggiori, aspettando la ripresa mondiale che verrà.
Sulla linea del rigore nei confronti del governo locale, anche Calderoli ha dato una mano a Tremonti. Così passa la linea del patto di stabilità per il 2010 senza sconti, e inoltre si prevedono tagli alle poltrone: un quinto di consiglieri e un quarto di assessori in meno, e via gran parte dei Consigli di quartiere. I tagli hanno effetti non immediati ma sicuri; e se li propone un leghista, devono avere pensato al governo, non ci sarà politico a destra o a sinistra che osi gridare all’autonomia offesa. Ma è improbabile che sarà così. La finanza locale avrà i suoi torti, ma qui si esagera, soprattutto a carico dei Comuni virtuosi che spendono in modo efficiente e hanno già tagliato tutto il possibile. Un patto di stabilità che li manda fuori regola non sarà accettato facilmente nemmeno dai sindaci di maggioranza. E la rivolta contro i vincoli alla spesa immediata potrebbe generare anche il rigetto dei tagli alle poltrone.
Non è da escludere una fronda bipartisan su una duplice linea: allentare il patto di stabilità, tanto più che la finanza locale può essere provvidenziale nella politica antirecessiva sul fronte dell’assistenza e su quello dei lavori pubblici immediatamente attivabili; e non imporre tagli alle poltrone bensì stabilire costi standard alla rappresentanza, in modo che nessuno possa pretendere aiuti dallo Stato per emolumenti e poltrone in più, ma possa farlo a proprie spese. Nonostante la blindatura avvenuta in commissione, la vicenda della Finanziaria potrebbe riaprirsi in aula proprio sul fronte della finanza locale. |