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28/06/2010
Treviso

OLTRE LA CRISI: Crescita economica e occupazione, quali politiche?


“Il rischio maggiore è che la crisi passi senza che il nostro Paese cambi le regole su lavoro e welfare, passando dalla tutela del posto alla tutela del lavoratore. E noi di sinistra, se vogliamo davvero tutelare chi sta peggio, dobbiamo promuove, non contrastare questa riforma”. E’ quanto ha affermato Giuseppe Bortolussi, direttore CGIA Mestre e consigliere regionale, nel corso del dibattito promosso dal circolo PD di San Fior. Oltre a Bortolussi, ospiti del coordinatore Vittorino Da Bo, erano Vendemiano Sartor, imprenditore, già Assessore regionale Attività Produttive, Luciano Miotto, Vicepresidente Unindustria Treviso e Piergiovanni Maschietto, Presidente Casa Artigiani.
Diego Bottacin, Consigliere regionale PD, Vicepresidente Commissione regionale Urbanistica e Viabilità ha introdotto e moderato il dibattito che si è rivelato particolarmente interessante perché ha messo a confronto esperienze assai diverse. Più di 120 persone presenti, con domande e osservazioni fino a dopo la mezzanotte, a riprova che la politica fatta di confronto sui problemi e sulle soluzioni tra diverse forze politiche può tornare ad interessare e far partecipare la gente.

Quali possibilità di occupazione dopo la crisi? Come evolverà il nostro territorio e il nostro paese dopo la crisi? Concordi tutti su un punto: la crisi economica non è finita.

“Tutte le crisi hanno uno strascico di problemi di occupazione” ha spiegato Bortolussi “che può durare anche anni. Noi siamo stati di certo colpiti dalla crisi finanziaria partita dall’America, ma la crisi, nel nostro sistema c’era anche prima: di fatto, stiamo vivendo una crisi italiana e, di riflesso, subiamo anche quella internazionale. Il nostro Paese era ed è intrappolato in una serie di scelte economiche sbagliate: spendiamo molto per le pensioni, e molto meno per i giovani, per le maternità, per la ricerca; abbiamo una crescita bassa e un debito pubblico alto; sbagliamo clamorosamente quando, invece di sostenere direttamente il lavoratore in difficoltà, andiamo a reinvestire in aziende in perdita, in una sorta di accanimento terapeutico.
L’Italia è destinata, come molti altri paesi prima di lei, a passare dalla manifattura ai servizi. Mentre la qualità della produzione industriale cresce a scapito dell’occupazione, nel settore dei servizi avviene esattamente l’opposto. Lo Stato deve prendere coscienza di questa evoluzione e spianare la strada al cambiamento: se non lo farà, la trasformazione si verificherà ugualmente ma ci troverà impreparati e le conseguenze saranno più dure”

“La crisi internazionale ha colpito molto il nostro territorio, che attualmente esporta i due terzi della sua produzione” ha continuato Sartor “Sarebbe sbagliato però chiuderci in un mero protezionismo:
dobbiamo affrontare i nostri problemi guardando al futuro, valutando meglio gli investimenti che oggi possiamo fare, per evitare gli errori del passato (tra i quali ricordiamo le esagerate operazioni edilizie). Non dobbiamo insomma limitarci a tamponare la crisi di oggi, ma dobbiamo comprendere le debolezze che ci hanno portato ad essa. Il rischio più grande, in caso contrario, è quello di vedere il mondo che si riprende dalla crisi internazionale e noi che restiamo impantanati in una crisi tutta italiana. E non dimentichiamo che sono i giovani a pagare di più per questa crisi: l’Italia ha un sistema amministrativo lento, che non sa adeguarsi al passo che il mondo di oggi ci impone e le nuove generazioni hanno sempre più difficoltà ad inserirsi in questo meccanismo obsoleto.
C’è però un aspetto positivo per il nostro territorio: il Veneto è oggi una delle regioni d’Europa con le maggiori possibilità di sviluppo. L’importante ora è saper valorizzare correttamente questa possibilità”

“Credo che la trasformazione della nostra regione in un “Veneto dei servizi” non sia un fenomeno così imminente” è intervenuto Miotto “Ad oggi la nostra preoccupazione principale deve essere ancora rivolta al settore manufatturiero: le aziende italiane hanno delle ottime potenzialità, ma soffrono di due penalizzazioni. Primo, tutte le aziende italiane che forniscono enti pubblici hanno difficoltà a farsi pagare: i pagamenti arrivano in ritardo, danneggiando la produzione e di conseguenza anche i lavoratori. Secondo, siamo estremamente carenti nella ricerca: non è sufficiente apprendere ed utilizzare nuove scoperte fatte da altri. Se vogliamo competere davvero nel mercato dobbiamo essere noi ad inventare per primi”

Maschietto ha voluto riflettere sulle qualità e sulle debolezze del sistema veneto: “Le aziende del nostro territorio sono solitamente imprese medie o piccole, con pochi dipendenti e un fatturato medio. Ci sorprende però il loro numero, altissimo: eppure queste centinaia di migliaia di piccole e medie aziende hanno difficoltà enormi ad ottenere finanziamenti e possibilità di sviluppo. La creatività, la voglia di competere, le capacità ci sono, però. Come ottenere anche i mezzi per raggiungere i risultati? Una soluzione è nei movimenti consortivi, nell’unione delle tante piccole imprese per riuscire, attraverso un gioco di sinergie, ad intervenire da protagonisti sulla scena economica italiana. Un’esperienza positiva di questo tipo è stata, ad esempio, quella dell’autoparco di San Fior: un esempio di collaborazione efficace che ha portato benefici a tutti”

Bottacin, a conclusione del dibattito, ha così cercato una sintesi delle idee presentate: “La crisi ci deve servire per riflettere attentamente sul nostro futuro. Senza le riforme non c’è ripresa che possa aiutare l’Italia: anche se le borse Americane non fossero crollate, il nostro Paese avrebbe comunque dovuto fare i conti con le sue arretratezze. Far tesoro delle esperienze e cominciare con coraggio: l’approvazione dello Statuto della nostra regione, ad esempio, può essere una opportunità importante. Ridurre il peso della macchina pubblica sul bilancio pubblico per liberare le risorse necessarie a dare più opportunità ai giovani, alla formazione, alla ricerca, all’innovazione. Ridurre i livelli di governo (via le province, accorpare i comuni, disboscare gli enti di sottogoverno), ridurre il numero dei consiglieri regionali. Potrebbe essere un buon segnale di partenza per la legislatura regionale appena iniziata”.


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