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Venezia
Dopo il referendum, le riforme
UNA “CONVENZIONE” PER RISCRIVERE LA COSTITUZIONE

Il voto referendario è stato molto chiaro. Gli italiani hanno deciso di partecipare in percentuale molto elevata rispetto alle previsioni, nonostante la stanchezza per una stagione elettorale così inutilmente lunga, di dire la loro opinione e hanno bocciato le proposte di riforma costituzionale del centro-destra. Il centrosinistra ha buoni motivi per esprimere la soddisfazione di aver stoppato modifiche che avrebbero peggiorato il nostro assetto istituzionale. Ora, però, deve immediatamente interrogarsi sul cosa fare di questi quasi 15 milioni e mezzo di voti che hanno respinto le legge. Esclusa l’opzione del crogiolarsi sugli allori di una sconfitta del berlusconismno e dell’asse Berlusconi-Bossi, l’imperativo è dimostrare che la coalizione di Centrosinistra che ha vinto le elezioni e che ora governa il Paese ha una guida autenticamente riformista, davvero capace di fare le riforme che servono all’Italia e non solo di invocarle. E quella costituzionale è senz’altro tra quelle indispensabili. Dobbiamo fare tesoro degli errori fatti dalla destra e dal centrosinistra negli ultimi anni. Avviare una riforma capace di raccogliere un consenso molto ampio e che risulti totalmente priva di contenuti strumentalmente elettoralistici ad uso delle forze politiche in campo. La Costituzione che uscirà dalla necessaria revisione deve essere frutto di un disegno organico, sistematico e coerente. Non può essere il luogo di compensazione di accordi funzionali al mantenimento di questa o quella alleanza politica. Non può essere farcita di tutto e del contrario di tutto, perché rimarrebbe del tutto inefficace. La mia opinione è che la strada migliore per giungere ad un buon risultato sia quella della “convenzione costituente”. Un organismo formato da un centinaio di persone, per un terzo elette dal Parlamento, per un terzo da regioni ed autonomie locali e per un terzo scelte tra esperti costituzionalisti, che non dovrebbero candidarsi nei successivi cinque anni, a garanzia di un totale estraneità ad interessi personali nella discussione della migliore riforma possibile. Suo compito, scrivere le modifiche alla Costituzione da rimettere al voto delle Camere, senza però possibilità di emendamenti, per evitare che in aula se ne snaturi il contenuto sulla spinta di interessi particolari. Nell’arco di un anno il Parlamento potrebbe essere messo nelle condizioni di votare la nuova legge di riforma. Credo, inoltre, che a questa Commissione potrebbe essere dato anche il compito di riformare in questi tempi, con lo stesso distaccato disinteresse personale e di parte, la legge elettorale, obiettivo di Prodi, Rutelli e Fassino in campagna elettorale, ora messo in secondo piano da più impellenti urgenze, ma che va affrontato per tempo e non a ridosso del prossimo voto, periodo in cui finirebbero per prevalere calcoli elettorali. Credo che questa proposta, che io porto oggi (martedì 27 giugno) alla direzione Federale della Margherita riunita a Roma, possa corrispondere alle attese della grande maggioranza di chi ha votato NO (per gli osservatori oltre il 20 per cento appartenente al centro-destra), ma anche di una parte significativa di coloro che hanno votato SI’, non perché d’accordo con i contenuti di quella riforma, ma per il timore che la sua bocciatura possa decretare il blocco di qualsiasi ipotesi di riforma. Soprattutto per questi, per il Veneto e la Lombardia, dove i SI’ hanno prevalso, sarebbe un segnale molto forte l’immediato avvio di un processo riformatore da parte del Governo Prodi. Quanto ai contenuti ed agli obiettivi della riforma, personalmente penso che si debba puntare ad una riorganizzazione federale dello Stato, basata sul federalismo fiscale, ad una definizione precisa e senza possibilità di conflitti delle competenze di centro e periferia, rimediando ad alcune incongruenze inserite dal centrosinistra nella riforma del Titolo V, ad un miglioramento dell’articolo 119 sul federalismo fiscale, con una nuova definizione dei processi di negoziazione tra Regioni e Stato delle risorse che devono seguire l’attribuzione di nuove competenze (ad esempio sul modello Catalano), al superamento del bicameralismo, con l’istituzione del Senato delle Regioni e delle autonomie, ad una diminuzione sensibile del numero dei parlamentari, maggiore anche di quanto finora proposto dallo stesso centrosinistra. Si parla tanto di questi tempi, al nostro interno, del nuovo Partito Democratico come aggregazione delle molte anime riformiste del Centrosinistra, ma questo ragionamento è paradossalmente fermo sui tempi e sulle modalità di costituzione di questo nuovo soggetto, mentre poco si discute di contenuti. Credo che la riforma costituzionale sia un primo vero banco di prova del Partito Democratico, per dimostrare che i riformisti del Centrosinistra sono davvero in grado di trainare l’intera coalizione sulla strada dell’ammodernamento della Costituzione e del Paese.

Diego Bottacin
Coordinatore Regionale della Margherita

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