Condivido la proposta di alcuni colleghi di rinunciare all’aumento dello stipendio di consigliere regionale: in questo momento gli italiani, per recuperare fiducia nelle istituzioni e collaborare agli obiettivi di riforma del governo, hanno bisogno di testimonianze tangibili di buona volontà da parte della classe politica. È evidente, però, che la lotta agli sprechi e ai privilegi, perché sia efficace, non può essere lasciata solo alla buona volontà dei singoli, ma deve diventare legge per tutti. Il Parlamento va pertanto sollecitato a modificare il meccanismo dell’aggancio degli stipendi dei consiglieri a quello dei parlamentari e di questi ultimi ai magistrati. In una logica di federalismo fiscale, del resto, anche gli aumenti o le riduzioni degli stipendi dei consiglieri regionali devono essere decisi autonomamente dalle Regioni, non “dipendere” da Roma.
Ma il tema della lotta ai privilegi, per non rimanere chiuso nel recinto della facile demagogia, va agganciato a quello, più generale, della riqualificazione della spesa pubblica e della conseguente necessità di ridurre la pressione fiscale sulle imprese e sulle famiglie. Tradotto: politica dei tagli, non della spesa!
Su questo il governo deve avere le idee chiare. Finora esso ha lavorato molto bene sul fronte del contrasto all’evasione fiscale, con la conseguenza che, nei primi otto mesi del 2007, le entrate da Irpef, Ires e Irap sono aumentate del 21% (7,8 miliardi di euro in più rispetto allo stesso periodo del 2006).
Ma la credibilità del governo si giocherà altrove e cioè su come verrà speso l’extra-gettito. Guai se il governo decidesse di impiegarlo, anche solo in parte, per aumentare la spesa pubblica! Esso dovrà invece essere utilizzato per abbassare le tasse e ridurre il debito pubblico. Abbassare le tasse per innescare un circolo virtuoso: tutti ottemperino ai doveri fiscali perché lo Stato ha saputo alleggerire la pressione fiscale e, sul piano culturale, può finalmente prendere piede un nuovo senso civico, primo strumento contro l’illegalità.
L’extra-gettito dovrà essere usato anche per riqualificare la spesa pubblica allo scopo di dare servizi migliori alle famiglie e alle imprese. La riforma federalista dello Stato si inserisce proprio qui, e, se non comporterà reale riduzione della spesa pubblica e migliori servizi al cittadino, non avrà raggiunto il suo principale obiettivo. Perché il federalismo fiscale ha senso solo se fa rima con riduzione (non moltiplicazione!) dei livelli di governo inutili, se riesce a riportare la decisione politica e amministrativa più vicino a dove è richiesta, in modo da rendere più razionale la spesa, se riesce a ridurre gli sprechi e a responsabilizzare i centri di spesa.
Sui questi temi, che costituiscono l’essenza della “questione settentrionale”, sfido il governo a dare le risposte tempestive ed efficaci, non nell’intesse del Nord ma dell’intero Paese. |